Gian Marco Merlo

Il Merlo Parlante: il pagellone di Sanremo

Il merlo parlante

Questo nuovo numero de Il Merlo Parlante non poteva che essere dedicato a Sanremo. Nella riviera dei fiori abbiamo vissuto giorni intensi, alcune cose ci sono piaciute, altre decisamente meno. Il nostro critico, come sempre, con assoluta sincerità e ironia dà i voti dal 10 allo 0 a chi, in qualche modo, in positivo o negativo, si è reso protagonista dalle parti dell’Ariston. E sul gradino più alto troviamo Cristiano De Andrè, che finalmente si è scrollato di dosso l’etichetta di figlio di…

Il Merlo Parlante

Chi vola e chi invece…

a cura di Gian Marco Merlo

10 a Cristiano De Andrè: puntava sul primo brano, quello che è stato eliminato dal Televoto. Ma nonostante la delusione canta di cuore e di pancia, riempiendo il suo cielo vuoto di emozioni. Ora sta a lui ripartire senza più fermarsi.

9 a Stromae: il cantautore belga arriva a Sanremo come un perfetto sconosciuto. Sul palco dell’Ariston recita un’ubriacatura da vero performer e l’indomani ripete lo show a Che tempo che fa. Subito primo in classifica su iTunes per gli album più venduti in Italia. Nessun dubbio: è nata una stella. Semplicemente “Formidable”.

8 a Riccardo Sinigallia: porta al Festival un pezzo che funziona. Ma nemmeno il tempo di gustarsi la rinascita che viene squalificato perché il pezzo non era inedito. Una leggerezza che il cantautore paga a caro prezzo. Ma “prima di andare via” sale sul palco, fa mea culpa e, con gli occhi lucidi, ammette umilmente: “Grazie per avermi dato questa luce che era tanti anni che non avevo”.

7 a Maurizio Crozza: entra con uno scudo per dimostrare di aver imparato la lezione. Sanremo è un palco pericoloso, una bestiaccia. Ma stavolta il suo monologo sull’orgoglio italico è da applausi. Così come il coraggio di imitare il “fighissimo” Renzi, dimenticando per una volta il suo “adorato” Cavaliere.

6 ad Arisa: vince Sanremo e si garantisce la sufficienza. Ma la sensazione che reciti da anni la parte del Calimero goffo comincia a farsi sentire pesantemente. Il distacco con cui accoglie la vittoria non è da povero pulcino, ma aquila cinica. Per fortuna che a farla piangere ci pensa la mamma il giorno dopo a Domenica In con un video commovente dove le ricorda il suo vero nome: Rosalba Pippa. Lacrime più che giustificate.

5 a Luciana Littizzetto: esattamente un anno fa, alla luce di un Festival perfetto, il “grillo parlante” di Che Tempo Che Fa prendeva il massimo dei voti sul nostro pagellone. Oggi tutto è cambiato. Lei è una delle grandi sconfitte di questo Sanremo. L’impressione è che sia arrivata già spremuta e che abbia fatto poco per guadagnarsi la pagnotta, contando i giorni che la separavano dal ritorno a casa. Svogliata e mai in partita. Delusione.

4 a Fabio Fazio: d’accordo, in Italia al momento c’è più rabbia che voglia di divertirsi. Ma alcuni errori in questo Festival li ha commessi anche lui. Il più grave? Accettare il bis senza aver avuto il tempo di ripulirsi la testa dal Festival dello scorso anno. E il risultato è stato un Sanremo decisamente sotto tono, a tratti imbarazzante, con canzoni neppure irresistibili e pochissime sorprese. Niente tris. Ora via libera a qualcun altro.

3 agli autori che hanno ricordato chiunque durante la rassegna (dal pittore Van Gogh al Carletto dei Sofficini) ma hanno dimenticato di fare l’omaggio a Little Tony e a Franco Califano, due che hanno fatto la storia del Festival. Occasione persa.

2 a Enrico Brignano: si sente erede di una romanità in via d’estinzione. Ma all’Ariston, omaggiando Fabrizi, si è capito che deve mangiarne ancora di amatriciana per tentare questi accostamenti azzardati.

1 a Sir Bob: uno che si esibisce con una maschera da wrestler e che non permette nemmeno a Gualazzi, suo partner a Sanremo, di vederlo in faccia, semplicemente non sta bene.

0 ai due operai che hanno minacciato di buttarsi dalla galleria dell’Ariston. Che si sia trattato di un vero sfogo o di una scenetta organizzata a tavolino da qualche sabotatore è stato certamente il momento più noioso del Festival. Un déja vu inutile. Anche perché, visto il periodo, mezza Italia dovrebbe allora arrogarsi il diritto di salire su quella balaustra.

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